domenica 6 maggio 2007

Il matto ai piedi del buco (tragedia semiseria)

La luna cresceva come se fosse un pene in erezione nelle mani di Paris Hilton e sembrava volesse esplodere manco fosse Platinette. Il matto girava per il deserto: la sabbia era rosa e profumava di cammello. Tirò fuori la sua clessidra. Era ferma. Pensò che se fosse stato un aereo sarebbe potuto volar via da quel posto ameno o almeno scoparsi una hostess. E invece nisba, solo soletto come il neurone di Costantino vagava per la steppa alla ricerca di acqua. O magari un Long Island, quando, all’improvviso, vide un precipizio di fronte a sé. Non era lontano ma non ne riusciva a capire i dettagli, un po’ l’effetto che suscitano le tette di Pamela Anderson la prima volta che le si vede. Decise di avvicinarsi al soggetto sperando in una pozza d’acqua o un chessòio. Una volta giunto nei pressi del buco un pimpante fetore di merda docciò il suo corpo non trascurandone nemmeno i lobi delle orecchie. “Che cosa sarà?” si chiese il matto credendo di parlare con una duna: il dubbio stava lacerando la sottile stoffa delle sue certezze quando, poco dopo, vide un qualcosa d’interessante. C’erano dei peli tutto attorno alla voragine, e anche all’interno. Il dubbio diventava sempre più massiccio come sotto il costante effetto di grosse dosi di metadone. Senza alcun preavviso, una colonna di fumo sfiatò dal buco carbonizzandone in parte il contorno. Nell’atmosfera si era liberata una fraganza metanosa.

D’un tratto, una profonda vociona si riverberò nel vuoto sabbioso di quell’angolo di mondo: parole indecifrabili che restarono a danzare in un’eco spasmodica per alcuni secondi. La fronte del matto grondava sudore come una cascata per noci di cocco, poi colava per le scopracciglia, il naso, il mento, il collo, la pancia, i pettorali poco accenati, la zona lombare, l’ombelico, il pube e, giunto qui, ribalzava agli occhi da dove ricominciavano il ciclo. Ad libitum.

Disadratato in parte per il fenomeno cercò un briciolo di coraggio, ma era andato a cambiarsi i pantaloni perché s’era cagato addosso, e quindi restò fermo.
Dall’orizzonte davanti al matto s’alzò un’enorme testa. “D’accordo che sono matto, ma insomma!”, disse il matto guardando in faccia il sadico autore di questo testo, e stette a guardare cercando di autoconvincersi di essere in un night-club a guardare uno striptease. L’enorme testa misteriosa, destatasi dal suolo, s’illuminò all’aprirsi di due enormi occhi: occhi color ghiaccio, di una luce azzura tendente al varipinto. Quei due fari lo stavano puntando.

“Oh cazzo”, disse il matto cercando di trovare le parole migliori per un caso come quello ma fu tutto vano, le mammelle del suo cervello erano vuote del latte del suo favellare e quindi il matto cominciò a sbavare come se la ragazza dello striptease lo stesse portando nel suo appartamento. La bocca di quella testona s’aprì facendo risuonare parole di fuoco tra quelle valli spiaggiose: “SIEDITI, MORTALE, POICHE’ IO SONO DIO.”
“Dio dio? Ne è sicuro, signore? Proprio quel dio tipo” e poi procedette ad associare il suo nome a quello di un suino.
“OSI BESTEMMIARE IL MIO NOME DAVANTI A ME, MORTALE? SI? BEH, BRAVO ALMENO SEI SINCERO. COME SEI GIUNTO FIN QUI, FINO ALLA MIA DIMORA?”
“Guardi, come lei mi insegna, io sono un matto, quindi non lo so. Mi perdoni, ma ora avrei da fare” ed il matto fece per andarsene fumando la sua pipa invisibile.
DIO: Non andartene!!!
MATTO: Senta, Zeus, ho fretta.
DIO: Ma resta qui almeno per il cocktail.
In quella si accesero altri tre soli nel cielo che illuminarono stroboicamente quella fetta di pianeta. Dalle valli tutto attorno saltarono fuori tavoli, camerieri giganti e un panda a benzina verde che serviva daiquiri ghiacciato.

“Questi provinciali quando fan festa finiscono sempre nel kitsch…” sentenziò il matto e se ne andò, realizzando che la voragine era il buco del culo di dio.
Da quel giorno DIO si lasciò andare all’alcol. Salviamolo.

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